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Maria La Duca

Amici immaginari: Sofia Figliè

Dove andiamo mentre leggiamo un’immagine? Che ruolo ha chi ci conduce laggiù con i propri gesti? L’incontro con Sofia Figliè mi porta ancora una volta a vedere il segno come la perfetta fotografia del suo autore. Come la scrittura o meglio la grafia, tanto unica da costruire un identikit, così anche quel susseguirsi di forme, linee e colori costituisce l’impronta digitale di ciascun illustratore. Chiacchierando con lei ritrovo le stesse sfaccettature che intuiamo nelle sue tavole, le forme aperte, l’assenza dei contorni, che suggeriscono infinite possibili letture. L’istinto che si muove tra i colori liberi. Decidere di mettere o non mettere i contorni è infatti sinonimo di una direzione chiara. Pensiamo ad esempio all’immediatezza del fumetto, quello per così dire classico che tutti conosciamo, e a quanto quella riga nera racchiuda con estrema precisione spazio, tempo, ruolo del soggetto. L’atmosfera e il significato sono dati dall’insieme, dalla composizione, meno dal singolo, che è già definito. Moebius in questo era straordinario. Ecco allora che togliendo la linea alla forma questa irrimediabilmente chiede al lettore di elaborare fin da subito qualcos’altro affinché quella forma risulti collocabile nel nostro magazzino di significati.

Sofia, nata a Carrara, dove vince un concorso di pittura da bambina con un disegno che raffigura la pioggia, da grande si trasferisce a Firenze per seguire Grafica d’arte all’Accademia di Belle Arti, e lì inizia a cercare e costruire il proprio vocabolario visivo seguendo le orme dei grandi docenti che incontra, tra i quali Maurizio Olivotto, specializzato in calcografia, litografia e incisione, con il quale si diploma con una tesi su Saul Steinberg. Completerà la sua formazione all’ISIA di Urbino, affiancata da Gianluigi Toccafondo e Beppe Giacobbe, per citarne alcuni.

“C’è una forte responsabilità in quello che facciamo e decidere di raccontare storie vuol dire anche farsi carico del messaggio che portano con loro”.

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© Sofia Figliè

Quando mi racconta del proprio universo visivo ricorre spesso la parola onestà, quel tipo di approccio consapevole che aiuta ad esempio a riconoscere e rappresentare i sentimenti, le emozioni. “Serve per lasciare che il segno sfugga al controllo, rincorrendo la spontaneità e guidandolo dove vanno le intenzioni” precisa “perché c’è una forte responsabilità in quello che facciamo e decidere di raccontare storie vuol dire anche farsi carico del messaggio che portano con loro”. In questo gioco, un tiro alla fune fra tenere e lasciare andare, anche l’invidia, che traduce in illustrazione per le pagine del magazine Io Donna, vuole essere un’emozione piena, non per forza negativa.

“Timidezza, introspezione, imbarazzo, sono tutte manifestazioni del proprio essere che devono vivere legittimate dal solo fatto di esistere. Reprimerle solo perché scomode per molti sarebbe ingiusto”, spiega Sofia “disegnandole mi lascio trasportare e mi permetto di viverle per raccontarle”.

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© Sofia Figliè

“Timidezza, introspezione, imbarazzo, sono tutte manifestazioni del proprio essere che devono vivere legittimate dal solo fatto di esistere. Reprimerle solo perché scomode per molti sarebbe ingiusto,” spiega Sofia “disegnandole mi lascio trasportare e mi permetto di viverle per raccontarle”. È questa volontà di andare in profondità che interessa l’autrice e che emerge dai suoi lavori; acquerelli ed ecoline i suoi strumenti preferiti che vibrano nelle palette colore scelte, accese e brillanti.

“È necessario fermarsi, tornare a se stessi e tradurre la propria passione nella consapevolezza necessaria ad alimentare la professionalità. Se è solo la moda del momento passerà, mentre i significati sono destinati a restare”.

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© Sofia Figliè

Come è possibile valorizzare tutto questo e promuovere il proprio lavoro online? Là dove la fruizione dei contenuti è al limite della bulimia. Dedichiamo una piccola parentesi al mondo social e alla sovraesposizione alle immagini che inducono. “Il tema non è l’automobile” sottolinea “ma l’educazione stradale; quando sono nati i social non ci hanno detto come usarli e il risultato è che sono privi di spessore e non favoriscono alcun senso critico. È necessario fermarsi, tornare a se stessi e tradurre la propria passione nella consapevolezza necessaria ad alimentare la professionalità. Se è solo la moda del momento passerà, mentre i significati sono destinati a restare”.

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